Dimmi cosa fai e ti dirò chi sei – parte seconda

Psicologia del lavoro - Alessandro Vimercati Psicologo

Dimmi cosa fai e ti dirò chi sei – parte seconda

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Vie d’uscita

L’estremo opposto è quello del downshifting.

Negli ultimi anni si sono moltiplicati i libri biografici che raccontano storie di persone che hanno adottato questa pratica, tradotta in italiano come “Semplicità volontaria” o “Decrescita felice”. In questi libri molte persone raccontano come hanno maturato l’idea di cambiare radicalmente stile di vita dopo avere realizzato che la loro intera vita ruotava intorno al loro lavoro. Persone che prima rincorrevano il successo attraverso incarichi prestigiosi nelle grandi aziende delle capitali europee,  lavorando 14 ore al giorno, all’improvviso si accorgono di stare male, si chiedono il senso di quello che stanno facendo e decidono di cambiare vita in modo radicale, lasciano la città e si trasferiscono in una casa isolata di una campagna sperduta, mantenendosi con l’orto, due galline e un pannello fotovoltaico. Dedicano alle loro attività preferite tutto il tempo liberato dal lavoro e improvvisamente raccontano di tornare a stare bene.

Anche se il fenomeno del downshifting inizia ad essere socialmente rilevante e molti sociologi lo indicano già come una delle tendenze del nuovo millennio, per il momento si tratta ancora di casi limite. Non è indispensabile un cambiamento radicale del proprio stile di vita per riportare l’equilibrio sull’asse realizzazione lavorativa/realizzazione personale. È importante, piuttosto, mettere a fuoco alcune questioni fondamentali.

Tre domande per riprogettare il presente

La prima domanda da porsi è: chi sono io oltre alla mia vita lavorativa? Sembrerebbe una domanda banale, ma non lo è per niente. Sapere distinguere le priorità della vita lavorativa dalle priorità personali è il primo passo per la presa di coscienza della propria situazione e già rispondendo a questa domanda ci accorgeremo di quante opportunità di crescita personale ci siamo negati nella vita per rincorrere la stabilità lavorativa, il sogno di una carriera, il successo professionale, il guadagno. Ovviamente avviene anche l’opposto, cioè il lavoro spesso rappresenta delle opportunità di crescita importanti, ma in alcuni casi queste opportunità ci spingono ancora di più verso il lavoro totalizzante senza che ce ne rendiamo conto ed è necessario fare luce sulla distinzione tra i nostri obiettivi personali e quelli lavorativi per capire in quale direzione stiamo andando.

La seconda è: quali sono i desideri ed i progetti personali che vorrei veramente realizzare al di fuori della mia vita lavorativa? Qui si tratta di riattivare un flusso precedentemente interrotto. Ognuno di noi ha dei desideri da realizzare, ognuno di noi vorrebbe migliorare degli aspetti della propria esistenza. In alcuni periodi della vita queste esigenze sono più forti, come quando si è giovani e ci si sente in grado di rincorrere potenzialmente qualsiasi desiderio, in altri periodi queste esigenze vengono narcotizzate da altri fattori che prendono il sopravvento su ogni progettualità, come spesso accade per chi svolge un lavoro impegnativo. Mettere mano nuovamente al cassetto dei desideri è un ottimo esercizio per ricominciare a progettare nuovi scenari.

La terza è: quanto sono disposto a mettermi in gioco per realizzare i miei progetti personali? Questa è la domanda cruciale perché ha a che fare con il coraggio. Anche se non è necessario rivoluzionare il proprio stile di vita, per dare maggiore spazio alle opportunità di realizzazione personale serve comunque una buona dose di coraggio e determinazione per riprendere in mano la situazione, stabilire nuove priorità, calcolare i rischi e prepararsi ad inseguire nuovi obiettivi.

Non esiste un rimedio preconfezionato, la soluzione è nella miscela di queste tre risposte.

E ognuno di noi possiede le potenzialità per ottenerla.

 

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