Kurt Cobain, William Burroughs e l’eroina – Parte seconda

Kurt Cobain, William Burroughs, eroina - Alessandro Vimercati Psicologo

Kurt Cobain, William Burroughs e l’eroina – Parte seconda

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Parte seconda

Il mantenimento della dipendenza

Per quanto riguarda la fase di mantenimento della dipendenza Burroughs racconta di avere fatto un uso parallelo di una serie di sostanze, tutte in grado di generare dipendenza: “Io fui un tossicomane per un periodo di dodici anni. Usai l’oppio fumandolo e prendendolo per bocca, l’eroina iniettata sotto pelle, nei muscoli e in vena, o fiutata (quando non disponevo di un ago), la morfina, il dilaudid, il pantopon, l’eukedel, la paracodeina, il demerolo, il metadone. Tutti questi preparati portano ad assuefazione”. Descrive anche gli aspetti psicologici di questa fase e come nella dipendenza tutto ruoti intorno all’assunzione di stupefacenti: “L’intossicato misura il tempo con la droga. Quando viene privato della droga, l’orologio si scarica e si ferma. Egli non può fare altro che rassegnarsi e aspettare che ricominci a scorrere il tempo senza droga. L’intossicato in preda al malessere della mancanza di droga, non ha scampo dal tempo esteriore, non ha luogo in cui rifugiarsi. Può soltanto aspettare.” E ancora: “L’eccitazione della droga consiste nel fatto che non puoi fare a meno di provarla. I tossicomani sono dominati dalla durata dell’azione della droga e dal metabolismo della droga. Vanno soggetti a un vero e proprio clima da stupefacenti. La droga li riscalda e li raggela. L’eccitazione della droga sta nel vivere in condizioni da essa determinate.”

Burroughs riprende in diversi punti il discorso sull’assuefazione come fattore patologico che investe il tossicomane: “La droga non è euforia. L’importanza della droga per il tossicomane sta nel fatto che essa dà assuefazione. Nessuno sa che cosa sia la droga finché non prova il malessere.”

Cobain racconta la sua necessità di seguire terapie farmacologiche sempre più pesanti per contrastare i dolori allo stomaco e il modo in cui l’eroina diventa la sostanza che è in grado di alleviare la sua sofferenza ma lo distrugge psicologicamente: “Ho deciso di farne un uso quotidiano per un persistente problema allo stomaco di cui soffrivo da 5 anni e che mi aveva letteralmente portato sulla soglia del suicidio. Tutti i giorni per 5 anni della mia vita ogni volta che inghiottivo un boccone di cibo provavo un violento dolore nauseante alla bocca dello stomaco. […] Dall’inizio del problema ho subito 10 interventi diversi nelle zone gastrointestinali superiori e inferiori che hanno rivelato una brutta infiammazione. Ho consultato 15 medici diversi e ho provato una cinquantina di medicine per l’ulcera. L’unica cosa che funzionava erano gli oppiacei pesanti. C’erano volte in cui rimanevo bloccato a letto per settimane, preda del vomito e del digiuno forzato. Quindi ho deciso che dal momento che mi sentivo un drogato, a quel punto valeva la pena esserlo”.

Entrambi raccontano, in modi diversi, come l’assunzione continua li porta a strutturare la loro vita intorno al consumo della sostanza, tratto caratteristico della psicologia della dipendenza da eroina. Nel volume della rivista Re/Search dedicato a Burroughs e Brion Gysin, Burroughs racconta che la maggior parte dei suoi lettori pensa che lui abbia scritto i suoi libri più noti sotto l’effetto di eroina, mentre in realtà dice che scriveva fumando solo marijuana e solo nei periodi di astinenza dall’eroina perché quando ti fai di eroina “ti fai e basta”.

La disintossicazione

Sia Cobain che Burroughs, infine, raccontano il processo di disintossicazione, in modo altrettanto crudo e realistico.

Il leader dei Nirvana racconta come, insieme alla moglie, sia riuscito a disintossicarsi più di una volta prima di partire per uno dei numerosi tour chiudendosi in una camera d’albergo e aspettando che passassero i sintomi dell’astinenza, che racconta in questo modo: “L’astinenza è proprio come si dice: vomiti, gesticoli, sudi, ti caghi addosso, proprio come nel film Christiane F. E’ il male”. Racconta poi un episodio chiave della sua vita, quando cercò di disintossicarsi poco prima della nascita di sua figlia: “Mi sono fatto fino a un mese prima che nascesse Frances. Sono tornato in clinica e ho trascorso 2 mesi di cure tra i più lunghi della mia vita, 60 giorni di vomito e digiuno. […] Nelle ultime 2 settimane avevano iniziato a somministrarmi una nuova medicina, la buprenorfina, che mi toglieva il dolore nel giro di pochi minuti. Era stata usata in via sperimentale in qualche centro di disintossicazione per la dipendenza da oppiacei e da cocaina. Il suo punto di forza era l’assenza di effetti collaterali. Si comporta come un oppiaceo, ma non ti fa sballare. La uso in dosaggi sempre più ridotti da nove mesi e da allora non ho più avuto un attacco di stomaco. La potenza della buprenorfina è come quella di un blando barbiturico. In una scala da 1 a 10 è 1, mentre l’eroina è 10”.

Anche Burroughs racconta diversi tentativi di disintossicazione, ma se nella testimonianza di Cobain si citano solo alcuni episodi, al contrario nel lavoro di Burroughs il tema dell’astinenza e quello della disintossicazione sono i cardini della storia. In uno di questi episodi racconta: “Il motivo per cui è praticamente impossibile liberarsi del vizio e curarsi sta nel fatto che il malessere dura da cinque a otto giorni. Dodici ore si supererebbero con facilità, ventiquattr’ore sarebbero sopportabili, ma un periodo che va da cinque a otto giorni è troppo lungo. […] Il terzo giorno e la terza notte del malessere sono generalmente i peggiori. Dopo il terzo giorno il malessere incomincia a diminuire. Sentivo un gelido senso di bruciore sull’intera superficie del corpo, come se la pelle fosse stata un compatto alveare. Sembrava che innumerevoli formiche stessero strisciando qua e là sotto l’epidermide.”

Dopo una serie di tentativi racconta di essersi finalmente disintossicato in una clinica inglese grazie a una terapia con l’apomorfina: “Mi sono sottoposto a dieci terapie. Mi sono assoggettato a riduzioni rapide e a riduzioni lente, al sonno prolungato, agli antistaminici, a ogni tipo di barbiturici, al cloralio, alla paraldeide, al cortisone. Ma dopo ogni terapia sono sempre ricaduto alla prima occasione. […] Quando il dottor Dent di Londra mi spiegò la terapia dell’apomorfina pensai che si trattasse soltanto di una cura come tutte le altre. Ma egli mi promise che mi avrebbe somministrato morfina se ne avessi avuto bisogno, e io accettai di entrare nella sua clinica.”

Dopo questo tentativo riuscì finalmente a uscire dalla dipendenza e consigliò a diversi amici eroinomani di provare a disintossicarsi con l’apomorfina. Uno di questi era Keith Richards dei Rolling Stones, che ascoltò il suo consiglio. Alla fine del processo di disintossicazione con l’apomorfina Richards disse che l’esperienza fu talmente traumatica che a terapia conclusa dovette immediatamente ricorrere a una dose di eroina per calmarsi.

 

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