Kurt Cobain, William Burroughs e l’eroina

Kurt Cobain, William Burroughs e l'eroina - Alessandro Vimercati psicologo

Kurt Cobain, William Burroughs e l’eroina

Kurt Cobain e William Burroughs hanno in comune un’amicizia e una carriera artistica che li ha portati, uno attraverso la musica e l’altro attraverso la scrittura, a essere tra gli artisti più famosi e influenti del secolo scorso.

I loro percorsi artistici si sono incrociati nel 1993 quando hanno registrato “The priest they called him” un brano di spoken words dove la voce di Burroughs racconta la storia di un eroinomane che muore alla vigilia di natale dopo avere compiuto un atto di misericordia nei confronti di un altro eroinomane, il tutto musicato dalla chitarra dissonante di Kurt Cobain.

Psicologia della dipendenza da eroina

L’eroina è il terzo elemento, oltre all’amicizia e alla carriera artistica, che ha unito le storie di Cobain e Burroughs. Entrambi sono stati dipendenti da eroina per diversi anni, si sono disintossicati più volte e più volte sono ricaduti nella dipendenza, entrambi hanno lasciato delle testimonianze scritte sulla loro storia con questa sostanza che raccontano in modo crudo e incredibilmente diretto i meccanismi fisici e psicologici che si attivano nelle fasi di intossicazione e disintossicazione, meglio di quanto abbia fatto qualsiasi manuale di psicologia delle dipendenze.

Kurt Cobain, nato nel 1967, incontrò l’eroina nel 1987 all’età di 20 anni. Ha raccontato di avere iniziato da adolescente a fare uso di LSD e altre sostanze, mentre iniziava a soffrire di un lancinante dolore allo stomaco che lo accompagnerà per tutta la vita. Quando incontra l’eroina si accorge che questa è l’unica sostanza che riesce a eliminare completamente il dolore e ne diventa assuefatto dopo pochissimo tempo. La sua dipendenza gli causerà continui problemi, ad esempio nel 1993 andò in overdose poco prima di salire sul palco di un concerto che si teneva a New York, fu salvato dalla moglie Courtney Love che gli iniettò del Narcan per contrastare gli effetti dell’overdose, permettendogli di tenere il concerto. Nel 1994 a Roma, dopo l’ultimo live dei Nirvana, tentò il suicidio ingerendo 50 pasticche di Rohypnol, venne salvato dopo una notte in coma. Morì suicida qualche settimana dopo nella sua casa sul Lago Washington. La sua storia con l’eroina appare in molti appunti dei suoi diari, pubblicati postumi nel 2002.

William Burroughs, nato nel 1914, incontrò la morfina e poi l’eroina nel 1944, all’età di 30 anni. Burroughs era mantenuto dalla sua benestante famiglia, girava il mondo facendo esperienze psichedeliche, lavoretti saltuari e scrivendo. Diventò Amico di Kerouac e Ginsberg nel momento di punta della Beat Generation, loro lo elessero a padre spirituale. I primi anni della sua storia con l’eroina sono raccontati nel suo libro “La scimmia sulla schiena” del 1953, libro che lo rese famoso al grande pubblico e precursore nei temi di altri suoi libri successivi più famosi come “Il pasto nudo”. Morì nel 1997 all’età di 83 anni.

L’insorgere della dipendenza

I “Diari” di Cobain e “La scimmia sulla schiena” di Burroughs hanno alcuni punti in comune, entrambi riferiscono in chiave personale episodi relativi all’insorgere, al mantenimento e all’uscita dalla dipendenza, descrivendo in modo personale la psicologia del tossicomane.

Cobain racconta l’instaurarsi della dipendenza così: “Ricordo che qualcuno ha detto che se provi l’eroina anche solo una volta diventi dipendente. Ovviamente ho riso di quest’idea, ma ora credo che sia molto vero. Non letteralmente. Voglio dire che se ti fai una volta non diventi subito dipendente, di solito ci vuole un mese di uso quotidiano per arrivare a essere fisicamente dipendenti. Ma dopo la prima volta la mente dice be’, è stata davvero una cosa molto piacevole, basta non ripeterla tutti i giorni per non avere problemi. Il problema è che poi, con il passare del tempo, succede. Cominciamo per esempio con il 1° gennaio. Ci si buca per la prima volta. Non lo rifai consapevolmente per più o meno un mese. Febbraio. Ti fai due volte. Marzo, tre giorni di fila […] Aprile, 5 giorni di fila. Saltarne 3, ancora una. Maggio, 10 giorni di fila. In quei 10 giorni è facilissimo perdere la nozione del tempo. Potrebbero sembrare 3 giorni ed essere passate invece 2 settimane. Gli effetti sono comunque piacevoli e puoi ancora scegliere i giorni in cui ti fai così naturalmente da sembrare che non ci sia alcun problema. A tutti capita almeno una volta all’anno qualche crisi, la perdita di un amico, un partner o di un parente. Questi sono i momenti in cui la droga ti dice di fottertene. Ogni tossicodipendente ha detto “Me ne fotto” più volte di quante possa contarne […] Quando finalmente dici “Me ne fotto” il lungo processo per tentare di smettere è cominciato”.

Burroughs invece, nella sua visione paranoide della realtà, paragona la morfina a un parassita che, una volta introdottosi nel corpo umano, ne governa i comportamenti: “Raffiguriamoci la morfina come un agente parassita invasore simile alla tenia. L’agente parassita è penetrato nell’organismo e si è stabilito nelle zone che predilige. Nel caso dell’invasione di morfina queste zone possono trovarsi nel cervelletto e nella spina dorsale. Nessuno lo sa con certezza. Il primo punto in cui si sentono gli effetti di una iniezione di morfina è di solito la nuca. Supponiamo ora che questo agente chimico viva nel medium della morfina e grazie a esso. Gli occorre questo medium della morfina per esistere. Gli occorrono sostanze alimentari particolari che non sono quelle normali. E l’agente invasore può potenziare tale necessità nel suo ospite mediante uno sbarramento di sintomi invalidanti allorché la morfina grazie alla quale esso agente vive viene sottratta”.

Il primo, quindi, ascrive l’instaurarsi della dipendenza alla difficoltà di mantenere un equilibrio, nella ricerca del piacere, tra le pulsioni emotive e i fattori razionali, mentre il secondo racconta una versione fisiologica della dipendenza, una patologia causata da un parassita che altera il sistema nervoso e il comportamento.

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